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L'uomo e l'ambiente

Turismo sostenibile nei parchi

Negli ultimi anni, in qualsiasi documento di piano o di programma, a ogni livello di governo territoriale, si continua a ribadire, come un mantra, il concetto di “turismo sostenibile”. Forse, alcuni credono che, più lo si ripeta, più facilmente si possa raggiungere un determinato effetto. In realtà, esso non è una formula magica e, soprattutto, riguarda obiettivi ben misurabili: 1) la tutela e il miglioramento del patrimonio naturalistico e culturale, affinché possa essere utilizzato anche dalle generazioni future; 2) la produzione di effetti positivi sulla qualità dell’abitare, che include anche alcuni indicatori socio-economici, come l’istruzione, l’occupazione e il tasso d’imprenditorialità giovanile.

Il turismo, inteso come viaggio eminentemente orientato al piacere, si è sempre sviluppato a partire dalle “frontiere” dello spazio urbano e periurbano (di passaggio dall’urbano al rurale n.d.r.) ordinario. Entroterra remoti e celati, o isolate porzioni di litorali non ancora segnate da processi incombenti di trasformazione urbana e territoriale sono divenuti così prodotti pregiati di quello stesso sistema produttivo che, concentrandosi altrove, li aveva sinora marginalizzati. In questo scenario, si snoda la storia dei parchi naturali che, da quasi un secolo e in modo progressivamente crescente, contraddistingue l’intero territorio nazionale e da molto più tempo quello americano o del nord Europa.

La sensazione di distacco dalla natura, che segna la coscienza urbana, è la prima causa della spinta a trovare un opportuno rimedio a questa carenza fuori dalle mura. Il cittadino, anche solo per brevi periodi, sente il bisogno di ricrearsi, nel fisico e nello spirito.

I turisti si sono dunque avvicinati ai parchi cercando soprattutto la natura ma, in effetti, hanno incontrato il paesaggio, inteso nella sua accezione più ampia, che certamente include il paradigma ambientale e che mette insieme materialità e immaterialità, oggettività e soggettività, letture fisico-ambientali e interpretazioni intuitive ed emozionali, realtà scientificamente descrivibili e impressioni artisticamente narrabili.

Nell’esperienza americana, questa vicinanza concettuale è, da sempre, pervicacemente innestata nei protocolli pianificatori e gestionali dei parchi nazionali; forse per le loro dimensioni, certamente per le finalità istitutive. Il più antico parco del mondo, che è quello dello Yellowstone e interessa tre stati (Wyoming, Idaho e Montana), per una superficie di 8.900 kmq (quando la dimensione media dei parchi italiani si aggira sui 280 kmq), fu voluto dal 18° presidente degli USA, Ulysses Simpson Grant, per preservare le bellezze sceniche e naturali e per la fruizione turistica. Il legame tra turismo e paesaggio era dunque già negli obiettivi istitutivi.

In Italia non è stato così. I parchi sono nati per motivi strettamente connessi alla salvaguardia di alcune specie animali o vegetali, cui si aggiungeva talvolta la conservazione delle formazioni geologiche e la bellezza del paesaggio.

Molti di essi erano originariamente riserve di caccia o aree di tutela istituite con leggi regionali o nazionali. Il turismo, sostenendo le forme nascenti di attenzione alla dimensione paesaggistica, ha dunque facilitato un passaggio di scala molto importante che potrebbe contribuire a ridisegnare il territorio e la città contemporanea. Ma esso produce ulteriori stimoli. Non si cercano le aree protette solo per la scoperta di natura e paesaggi incantevoli ma anche per vivere meglio, nella consapevolezza che la qualità ambientale porta con sé la qualità dell’abitare.

In questa prospettiva, alle aree protette si assegna sempre più decisamente una nuova mission: divenire modelli territoriali in cui sperimentare una migliore qualità della vita. Dal turismo sostenibile all’abitare sostenibile, il passo è breve. È stata la Convenzione Europea del Paesaggio, redatta a Firenze nel 2000, che ha spostato l’attenzione dal paesaggio oggetto di tutela, tema di nicchia, esplorato dagli appassionati ma piuttosto lontano dalla politica militante, al paesaggio come strumento per riscoprire il piacere dell’abitare, come attesa di molti e non prerogativa di un’élite.

 

prof. Massimo Sargolini

Facoltà di Architettura - Università di Camerino