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Si racconta in montagna

Pastori dei Sibillini, poeti e patrioti

I pastori stavano soli tutto il giorno a “parare” le pecore sui monti Sibillini e leggevano. Tanto, da imparare a memoria interi poemi come la Divina Commedia di Dante o la Gerusalemme liberata di Tasso e l’Orlando furioso di Ariosto, fino ad apprendere la musicalità della rima in ottava. Molti si cimentarono a scrivere versi. Non in dialetto ma in lingua, con qualche espressione più laziale che umbro-marchigiana, perché erano transumanti nella campagna romana come i nostri antenati sarnanesi “macchiaróli”.

L’unico “pastore poeta vivente”, come l’ha definito Febo Allevi, è Renato Marziali di Casali di Ussita, nato nel 1944. Scrisse nel 1991 il Pastorello, libricino poetico di 32 pagine, pur munito solo di licenza media presa da adulto in una scuola serale. Ma c’è tanta sensibilità nelle sue composizioni in ottava: strofa di otto endecasillabi con i primi sei a rima alternata e i due ultimi a rima baciata. Marziali ha letto, oltre ai poemi amati da ogni pastore e il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino, anche scritti filosofici di Aristotele e Kant, le Confessioni di sant’Agostino, l’Odissea e l’Iliade di Omero, ma questa incompleta perché ereditata dal nonno pastore e mancante di pagine. Nel volumetto del Pastorello c’è la presentazione di don Luigi Stella che ha visto Marziali “profeta dei guai del Duemila”.                    

Nel 2005 il Parco nazionale dei Monti Sibillini ha curato la ristampa. La poesia Pastorello in val di Pànico è una tavolozza alpestre della giornata del pastore con ruscelli, prati fioriti, gregge, coltello a serramanico e pane con un pezzetto di formaggio nel tascapane, fino al ritorno a sera allo stazzo. La pecorella fedele custodisce, invece, riflessioni sull’impastoiare (o incaprettare) e sulla cottura “alla callara” per rendere la carne ovina più tenera. Marziali non è l’unico poeta ussitano.

Giuseppe Rosi (Ussita 1798 - Roma 1891) fu pastore-poeta, longevo e dalla rima facile tanto da avere la fama di “pastore che non sapeva scrivere e parlare che in poesia”. Fu oratore e patriota garibaldino fino al grado di capitano. Iscritto alla Giovane Italia, partecipò ai moti del 1848, si distinse nella difesa della Repubblica Romana, insieme a molti altri pastori vissani, e nella battaglia di Mentana (1867) contro le truppe franco-pontificie. Il suo busto marmoreo sta sul Gianicolo presso la statua equestre di Giuseppe Garibaldi.

I pastori dei Sibillini ebbero una vena poetica incredibile. Tra i tanti componimenti spicca il poemetto La battaglia del pian perduto (o Piano Piccolo, rispetto al Piano Grande di Castelluccio) sempre con ottave (116) e in lingua. Alcuni lo attribuiscono a Berrettaccia, poeta-pastore di Vallinfante nel '600. Autore, noto o anonimo, comunque epico-comico e di partigianeria vissana. Il poemetto, stampato nel 1914 con studi di p. Pietro Pirri (1881-1969) nato a Rasenna di Visso ed estensore di 20 volumi di storia e arte locale, è stato ripreso in edizione anastatica nel 1972. Il “casus belli”: il taglio di un faggio da parte di un certo Ciorro di Gualdo (frazione di Castelsantangelo sul Nera) per fare una treggia, una sorta di slitta agricola per siti scomodi. La cosa non andò giù a un guardiano nursino che venendo con lui alle mani, uscì dalla lite tanto malconcio da diventare “terra per i ceci” (morì). Scoppiò la guerra. Accorsero a spalleggiare Visso anche armati dall’altro versante dei Sibillini, da Montefortino e Montemonaco. Fu una battaglia di popolo. Si partiva per lo scontro finale (20 luglio 1522) con i vestiti d’ogni giorno. Da Villa Sant’Antonio anche con la “guazzarola”, usata per difendere le gambe dalla guazza. Lo scontro fu vinto dai vissani benché inferiori di numero: 600 soldati contro i 6000 di Norcia.

Tornando a Renato Marziali, una sua profezia dall’ultima ottava della poesia Duemila: “… in cui nulla fila”. Visti i nostri tempi, ha colto nel segno.

 

                                     Vermiglio Petetta

                          Corrispondente e disegnatore dal 1984

                          del settimanale “l’Appennino Camerte”