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Si racconta in montagna

Il Gran Gendarme sul Lago di Pilato

Il Gran Gendarme, roccia antropomorfa di Pizzo del Diavolo, accoglie guardinga ogni visitatore che sale al lago di Pilato da Foce di Montemonaco, o da Forca Viola, oppure da Forca di Presta scendendo da Sella delle Ciaule. Secondo la leggenda, da duemila anni sta lì a guardia del lago, tomba di Ponzio Pilato. Fin qui è cosa nota a molti, escursionisti e non sui Monti Sibillini, colmi di miti, leggende, culti piceni, eremi, maga Sibilla (o Alcina), Guerrin Meschino e negromanzia.

Dal secolo XIII sulle rive di quel lago fu un via vai di maghi e negromanti provenienti persino dalla Germania. Il lago di Pilato, bellissimo e misterioso fu chiamato “lago maledetto”. Molti ci lasciarono l’anima, altri la vita. La prima più preziosa della seconda. Tanto che, per impedire l’accesso alle rive, il vescovo di Norcia fece costruire un muro. Gli ordini erano tassativi e una forca fu eretta a monito per i trasgressori. Le autorità nursine furono inflessibili.

Antoine de la Sale, scrittore e viaggiatore francese del XV secolo, scrisse nel “Paradiso della Regina Sibilla” (1421): “Non è molto che ci sorpresero due uomini uno dei quali era un prete. Questo prete fu condotto a Norza e là martirizzato e bruciato; l’altro fu tagliato a pezzi e gettato nel lago da quelli che l’avevano preso”.

Nella “Descrittione di tutta Italia” (1557) di Leandro Degli Alberti si legge: “Essendo volgata la fama di detto lago che quivi soggiornano i diavoli e danno risposta a che li interroga, si mossero già alquanto tempo alcuni uomini di lontano paese et vennero a questi luoghi per consacrare libri scellerati e malvagi al diavolo, per poter ottenere alcuni suoi biasimevoli desideri, cioè di ricchezze, di onori, di arenosi piaceri et simili cose”.

Le acque del lago sono abitate da una presenza unica al mondo: il chirocefalo del Marchesoni, crostaceo di un centimetro circa e dal colore rossastro. Nel simbolismo pagano i crostacei rappresentavano le forze “trascendenti sotterranee” e alcuni negromanti ci vedevano l’incarnazione dei demoni. Insomma, sotto il Gran Gendarme, le leggende e le azioni degli uomini si sono intrecciate per secoli in un groviglio di mistero. Affascinante. Ecco il perché della fama europea dei Monti Sibillini che il poeta Giacomo Leopardi dalla sua Recanati chiamò “Monti Azzurri”.

Leggenda più o leggenda meno, al centro però c’è sempre Ponzio Pilato da cui viene il nome del lago che nei mesi di magra è a forma di occhiale, diviso in due laghetti da una pietraia. Il Pilato della storia è quel tizio (forse sannita d’Isernia) che a Gerusalemme nel 33 d. C. si lavò le mani e, benché magistrato romano garante della legge, fece crocifiggere Gesù, innocente. Era stato nominato prefetto di Giudea (26-36 d.C.) dal suocero e imperatore Tiberio, presto deluso. Nell’anno 36 il governatore della Siria, Lucio Vitellio, lo destituì a causa della durezza con la quale aveva represso i Samaritani in rivolta sul monte Garizim e l’imperatore Caligola lo mandò in Gallia. Epilogo più duro, quello raccolto da La Sale: Pilato fu destituito, riportato a Roma da Tito Flavio Vespasiano, fatto uccidere e il suo cadavere, chiuso in un sacco legato a un carro trainato da buoi impazziti, trascinato fino alle pendici del monte Vettore e gettato nel lago, che prese il suo nome come l’isola di Ponza con altra leggenda. Filone Alessandrino racconta che era corrotto, licenzioso e crudele: rubava e condannava senza processo. Quasi il suo ritratto nell’immaginario collettivo dall’era paleocristiana. La Chiesa ortodossa etiopica, segue una tradizione diversa secondo cui, dopo il processo a Gesù, Pilato si convertì e lo venera come santo, il 25 giugno. Secondo altre tradizioni si suicidò.

Il Gran Gendarme sembra custodire del lago tutte queste cose, chiuse in un grande arcano.

Vermiglio Petetta

corrispondente e disegnatore dal 1984

del settimanale “l’Appennino Camerte”