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L'uomo e l'ambiente

Tra montagna e città

Riportare l’uomo a “prendersi cura della Terra” appare oggi un’esigenza dei cittadini non più differibile. Nell’organizzazione della città crescono le offerte di spazi verdi a scopo ricreativo, sportivo, culturale, di mobilità lenta e il parco naturale aspira a divenire metafora vivente di un nuovo rapporto uomo-ambiente. Analogamente, il tema del paesaggio è sempre più oggetto di attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni. Esso viene considerato un elemento fondamentale della qualità della vita dei cittadini, un valore culturale da contrapporre alla perdita d’identità dei luoghi, seguita ai processi di globalizzazione, una risorsa economica che produce occupazione e reddito. Diventa urgente un nuovo impegno da parte dell’ambientalismo per sostenere l’emergente interesse per la natura e la montagna da parte dei cittadini. Facilitare contatti e relazioni profonde e feconde tra montanari e cittadini è il nuovo scenario in cui occorre muoversi, nella consapevolezza che “montanari non si nasce, ma si diventa” (Annibale Salsa) e che non e-siste visione della montagna separata da quella della città. Il CAI si sta calando in questa nuova sfida. Con il 98° Congresso Nazionale (il dibattito è poi stato ripreso in diversi altri appuntamenti, tra cui il Convegno nazionale di Sarnano, nel 2009, “Tra montagna e città”) ha avviato un formidabile “cambio di marcia” culturale, volto a impreziosire la nostra grande associazione e a portare la montagna al centro degli interessi nazionali ed europei. Il CAI ha una vocazione costitutiva all'agire concreto sul territorio ed è ben cosciente che, per “dare reali opportunità alla montagna e ai montanari e per dare futuro alle attività sull’alpe” (Pier Giorgio Oliveti), occorra sfruttare appieno le molteplici condizioni favorevoli (talune di portata storica) che oggi si presentano. In questa prospettiva, il CAI sa che non può rimanere arroccato sulle posizioni di coltivare il puro gesto atletico dell’alpinismo, ma deve portare il proprio contributo alla maturazione di una nuova correlazione tra patrimonio naturale-storico-culturale e dinamiche socio economiche, tra fissità e movimento, tra identità tradizionali localmente riconoscibili e nuove forme di nomadismo. Per far sì che la montagna possa ristabilire un fecondo legame con la città, o meglio ancora con l’intero territorio, sarà necessario intervenire in quel coacervo di relazioni che regolano il rapporto coevolutivo delle società locali con il loro ambiente, originando paesaggio. Il momento è propizio. Con la globalizzazione riemerge l’attenzione per le specificità territoriali, poiché nel momento in cui ogni luogo riesce a collegarsi con le reti globali, le caratterizzazioni territoriali diventano vantaggi  competitivi. Le risorse immobili possono così efficacemente legarsi alle risorse mobili (delle grandi reti globali, dove circolano denaro, lavoro, imprenditorialità, …) e dare origine ai processi di sviluppo. In questo scenario, l’attenzione al paesaggio, inteso come ponte tra natura e cultura, diventa passaggio ineludibile. Esso rappresenta un buon antidoto agli incombenti processi di delocalizzazione e di disaffezione nei confronti dei luoghi purché, nell’interpretazione e nella valutazione paesaggistica, si chiami in causa la “popolazione interessata” (come la definisce la Convenzione Europea del Paesaggio) che non è solo quella di mon-tagna. Il paesaggio, testimone silenzioso delle scelte di sviluppo delle comunità, è chiamato a fornire spazi di confronto e mediazione, spostando l’attenzione dai monumenti naturali e culturali ai sistemi territoriali. È in gioco la capacità di creare nuovi equilibri alternativi a quelli atopici della città diffusa contempora-nea e due sono le prospettive: a) la separazione, che tende a mettere la parte più celebre al riparo dagli assalti urbani (“salvando il salvabile”) dividendo, spazialmente, le parti in conflitto; b) l’integrazione, che prende atto di identità diverse, ancora estremamente ricche di contraddizione, estendendo all’intero territorio le politiche di qualità ambientali e paesistiche, facendo prevalere le logiche dell’influenza su quelle dell’appartenenza. In questa seconda opzione, diviene basilare concentrare l’attenzione sulle aree di bordo tra natura e città, sugli spazi di confine (sono le aree collinari e pedemontane come quelle che interessano il territorio del comune di Sarnano), introducendo visioni sistemiche tese a raccordare punti di vista e saperi differenti, in cui lo sguardo dei tecnici sappia coniugarsi e integrarsi con quello dei poeti, le progettualità endogene con quelle esogene, le interpretazioni scientifiche con gli immaginari delle collettività locali. I parchi naturali potrebbero divenirne i primi luoghi di applicazione sperimentale di queste nuove concezioni.